L'OMISSIONE CENSORIA SULLA VITTIMA ITALIANA NEL DISASTRO DIMADRID, UN ESERCIZIO PATETICO DI FURBERIA CULTURALE
Quando due giorni fa abbiamo letto in prima pagina sul Corriere che c’era una vittima italiana nella tragedia di Madrid e che questa vittima viaggiava “con il compagno e il figlio”, in tanti ci siamo stupiti: abbiamo dovuto leggere fino in fondo per capire se il Corriere intendesseproprio “quello”.
Siamo talmente abituati ad omissioni e censure, ad essere socialmente inesistenti e invisibili (ovisibili solo nei quadretti manipolatori e distorcenti che puntuali arrivano con le cronache morbose dei Gay Pride), che non ci aspettavamo che qualcuno potesse per una volta almeno in questo Paese raccontare i fatti dando alle cose il nome che hanno. Ci è del resto bastato sfogliare le pagine bianche de La Repubblica e de L’Arena ieri e oggi, e leggere i commenti di disappunto del nostro governatore Galan e dell’editorialista Merlo, per capire che in effetti il Corriere aveva osato un’impresa improbabile,fare un giornalismo sereno squarciando suo malgrado il muro di gomma di una pratica culturale profonda e diffusa inItalia: l’omissione censoria.C’era una famiglia su quel volo. Punto. Era così semplice dirlo, come si sarebbe potuto dire per qualsiasi altra famiglia. Era una famiglia nella sua quotidianità e come tale è stata raccontata da chi ha avuto il coraggio di farlo: perché più di mille Gay Pride, vale proprio il racconto di questa quotidianità normale a riconoscere nella società e nella cultura l’esistenza dei gay e delle lesbiche in questo Paese. Proprio per questo il racconto è stato “opportunamente” omesso da tutti gli altri media. Fosse stata una famiglia eterosessuale ce loavreste detto? Certo, ce lo avreste raccontato in coro con dovizia di particolari, interviste ad amici e genitori di lui, ad amici e genitori di lei, qualche quadretto romantico sulle ferie che “insieme” quella coppia con figlio aveva organizzato. Al di là dell’opportunità e dello stile di questo giornalismo che cavalca morbosamente l’onda della tragedia, questa volta “casualmente” niente di tutto questo è accaduto: per la quasi totalità dei mediaitaliani, ad eccezione del Corriere, su quel volo c’era un single italiano e residente a Parigi in ferie con un amicoqualsiasi e un bambino circondati da eufemismi, qualche nota campanilistica sul dolore del paese di origine e la questione è stata chiusa. Una farsa mediatica nella tragedia: certe quotidianità normali non vanno proprio raccontante.La difesa di questa linea censoria omissiva è del resto arrivata imperterrita con le parole di Merlo e Galan: “de coccio”, direbbero a Roma, perché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. “Non si fruga nelle lenzuola” è l’argomento: quante volte ormai abbiamo sentito questa oppportunistica e militante litania ipocrita?Si usa per cancellare la nostra vita sociale e civile, per suggerire di fatto che le nostre relazioni e i nostri amori non hanno una forma e un contenuto socialmente e giuridicamente apprezzabili. Le nostre relazioni non esistono e non abbiamo diritto a quadretti romantici mediatici perché, al contrario delle famiglie eterosessuali, la nostra vita sociale e affettiva è banale “privato sotto le lenzuola”: per gli altri scatta il racconto sociale romantico di una famiglia “normale” eterosessuale, per noi scatta la pruderie e il “rispetto” per la vita cruda e privata dei singoli (corpi) sotto le lenzuola. Era così scandaloso e difficile dirlo? Domenico Riso era in volo con la sua famiglia, dueuomini e un figlio. Voler a tutti i costi far passare l’omissione censoria dell’indicibile per rispetto della persona è davvero un esercizio patetico e rivoltante di furberia culturale.
Michele Breveglieri
Membro del direttivo di Arcigay “Pianeta Urano”- Verona
Quando due giorni fa abbiamo letto in prima pagina sul Corriere che c’era una vittima italiana nella tragedia di Madrid e che questa vittima viaggiava “con il compagno e il figlio”, in tanti ci siamo stupiti: abbiamo dovuto leggere fino in fondo per capire se il Corriere intendesseproprio “quello”.
Siamo talmente abituati ad omissioni e censure, ad essere socialmente inesistenti e invisibili (ovisibili solo nei quadretti manipolatori e distorcenti che puntuali arrivano con le cronache morbose dei Gay Pride), che non ci aspettavamo che qualcuno potesse per una volta almeno in questo Paese raccontare i fatti dando alle cose il nome che hanno. Ci è del resto bastato sfogliare le pagine bianche de La Repubblica e de L’Arena ieri e oggi, e leggere i commenti di disappunto del nostro governatore Galan e dell’editorialista Merlo, per capire che in effetti il Corriere aveva osato un’impresa improbabile,fare un giornalismo sereno squarciando suo malgrado il muro di gomma di una pratica culturale profonda e diffusa inItalia: l’omissione censoria.C’era una famiglia su quel volo. Punto. Era così semplice dirlo, come si sarebbe potuto dire per qualsiasi altra famiglia. Era una famiglia nella sua quotidianità e come tale è stata raccontata da chi ha avuto il coraggio di farlo: perché più di mille Gay Pride, vale proprio il racconto di questa quotidianità normale a riconoscere nella società e nella cultura l’esistenza dei gay e delle lesbiche in questo Paese. Proprio per questo il racconto è stato “opportunamente” omesso da tutti gli altri media. Fosse stata una famiglia eterosessuale ce loavreste detto? Certo, ce lo avreste raccontato in coro con dovizia di particolari, interviste ad amici e genitori di lui, ad amici e genitori di lei, qualche quadretto romantico sulle ferie che “insieme” quella coppia con figlio aveva organizzato. Al di là dell’opportunità e dello stile di questo giornalismo che cavalca morbosamente l’onda della tragedia, questa volta “casualmente” niente di tutto questo è accaduto: per la quasi totalità dei mediaitaliani, ad eccezione del Corriere, su quel volo c’era un single italiano e residente a Parigi in ferie con un amicoqualsiasi e un bambino circondati da eufemismi, qualche nota campanilistica sul dolore del paese di origine e la questione è stata chiusa. Una farsa mediatica nella tragedia: certe quotidianità normali non vanno proprio raccontante.La difesa di questa linea censoria omissiva è del resto arrivata imperterrita con le parole di Merlo e Galan: “de coccio”, direbbero a Roma, perché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. “Non si fruga nelle lenzuola” è l’argomento: quante volte ormai abbiamo sentito questa oppportunistica e militante litania ipocrita?Si usa per cancellare la nostra vita sociale e civile, per suggerire di fatto che le nostre relazioni e i nostri amori non hanno una forma e un contenuto socialmente e giuridicamente apprezzabili. Le nostre relazioni non esistono e non abbiamo diritto a quadretti romantici mediatici perché, al contrario delle famiglie eterosessuali, la nostra vita sociale e affettiva è banale “privato sotto le lenzuola”: per gli altri scatta il racconto sociale romantico di una famiglia “normale” eterosessuale, per noi scatta la pruderie e il “rispetto” per la vita cruda e privata dei singoli (corpi) sotto le lenzuola. Era così scandaloso e difficile dirlo? Domenico Riso era in volo con la sua famiglia, dueuomini e un figlio. Voler a tutti i costi far passare l’omissione censoria dell’indicibile per rispetto della persona è davvero un esercizio patetico e rivoltante di furberia culturale.
Michele Breveglieri
Membro del direttivo di Arcigay “Pianeta Urano”- Verona