1969-2017 Quarantotto anni di lotta e di orgoglio

Si narra che fu un tacco a spillo sferrato da Sylvia Rivera  contro un poliziotto davanti allo Stonewall 48 anni fa, a far iniziare una battaglia che ancora oggi attraversa tutto il mondo, in ogni latitudine. Lì è iniziato il nostro Pride, il nostro orgoglio, che quest’anno in Italia ha preso la forma di un’onda che travolgerà ben ventiquattro città. Portiamo le nostre rivendicazioni, i nostri corpi, le nostre libertà, in ogni vicolo di questo Paese, per dare futuro alla storia e per trasformare ogni istante in storia.
Continuiamo la nostra marcia: siamo inarrestabil*!

Le Origini del Pride
Nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969 la polizia di New York fece irruzione nello Stonewall Inn, bar gay in Christopher Street nel Greenwich Village. Fu una delle tante irruzioni che la polizia era solita fare, anche se l’orario era decisamente inconsueto. Ma quella volta le persone presenti nel bar reagirono e non rimasero in balia delle forze dell’ordine. E fu orgoglio.

Diverse sono le versioni su cosa sia effettivamente successo quella notte, su chi abbia reagito e come si siano comportati gli altri avventori del bar. L’ipotesi più accreditata è che la transessuale Sylvia Rivera abbia lanciato una bottiglia contro un agente; un’altra versione vuole che, invece, abbia lanciato un tacco a spillo (che poi è divenuto uno dei simboli della rivolta). Quello che è certo è che il 28 giugno è stato scelto dal movimento lgbt come “giornata mondiale dell’orgoglio lgbt”.


Era la notte tra il 27 e il 28 giugno 1969. Poco dopo l’1.20, la polizia irruppe allo Stonewall Inn con la scusa di un controllo sugli alcolici. Si trattava di uno dei pochi bar dell’epoca dedicato a gay e transessuali ed era noto a tutti come quei controlli fossero organizzati al solo scopo di dar fastidio agli avventori (alle volte i nomi registrati dalla polizia venivano anche pubblicati sui quotidiani).
Quella notte furono otto gli ufficiali del primo distretto (dei quali uno solo in uniforme) ad entrare con l’intenzione di arrestare «coloro i quali si trovavano privi di documenti di identità, quelli vestiti con abiti del sesso opposto, e alcuni o tutti i dipendenti del bar». Ed è così che condussero tutti i presenti in strada per i controlli di rito.
Si dice che fu Sylvia Rivera a scatenare la protesta, lanciando una bottiglia addosso ad un agente che l’aveva presa a manganellate. Leggenda vuole che in quel momento nel bar corressero le note di “Over the rainbow” di Judy Garland, motivo per cui quella canzone divenne presto in un vero e proprio inno gay.
In quel momento, in un bar di Christopher Street nel Greenwich Village, ha avuto inizio il movimento di liberazione gay moderno. Quel giorno si decise di reagire e di non sottostare alle continue umiliazioni e violenze perpetrate della polizia ed accettate dalla società civile dell’epoca. 
La scintilla si era ormai accesa e la folla iniziò a sopraffare la polizia. Gli agenti si rifugiarono all’interno del bar: alcuni cercarono di appiccare il fuoco al locale, altri usarono dei parchimetro come ariete per sfondare le porte. La notizia della rivolta iniziò a diffondersi e sempre più folla accorse sul luogo.
La polizia isolò e picchiò molti effeminati e, solo nella prima notte, vennero arrestate 13 persone e vennero feriti quattro agenti di polizia (più un numero imprecisato di manifestanti, alcuni picchiati selvaggiamente dagli agenti). Bottiglie e pietre vennero lanciate al grido di «Gay Power!» e circa 2.000 persone si batterono contro 400 poliziotti.
Arrivarono i rinforzi dalla Tactical Patrol Force (una squadra anti-sommossa originariamente addestrata per contrastare i dimostranti contro la Guerra del Vietnam) ma anche loro vennero respinti dei dimostranti. Si dice che furono alcune drag queen a bloccargli la strada.
All’alba le proteste scemarono, ma ripresero la notte seguente ed, ancora, a cinque giorni di distanza dalla retata. La rabbia per i maltrattamenti subiti dalla comunità lgbt da parte delle forse dell’ordine (che avrebbero dovuto difenderli e non esserne i carnefici) era ormai venuta a galla e per le strade si iniziarono a distribuire volantini con scritto «Via la mafia e gli sbirri dai bar gay!».
Era l’inizio di una nuova era. E da quell’anno, ogni anno, i Gay Pride rievocano quanto avvenuto quella notte, ricordandoci come il mondo sia stato cambiato da chi è stato pronto a scendere in strada e a metterci la faccia nel dire «no» a chi voleva negargli il diritto all’esistenza. Perché non è restando in poltrona e sopportando gli insulti che si può far la differenza.

La comunità lgbt newyorchese si è ritrovata presso lo Stonewall Inn qualche giorno fa, per celebrare l’approvazione dei matrimoni gay.
L’anniversario di Stonewall deve anche farci uscire dalle ghettizzazioni di vario genere che, anche nel mondo gay, esistono. A tal proposito ricordo che in occasione di una celebrazione del Pride, Sylvia Rivera si scagliò contro la memoria corta di molti membri del collettivo lgbt americano, dicendo:

“La scintilla della rivoluzione l’abbiamo iniziata noi checche, travestiti e puttane. Dove stavate voi, ch’eravate nascosti allora, e venite a raccogliere gli allori adesso, di una rivolta della quale non avete alcun merito?”.

Ricordiamocene ogni volta che ci permettiamo di porre stupide domande sul chi partecipa ai Gay Pride e su come vi partecipa, nudo, vestito o mascherato. Perché è proprio grazie a un pugno di “checche, travestiti e puttane” che noi, oggi, abbiamo qualche diritto (pochi, in Italia, è vero, ma li abbiamo).